I PFAS (acronimo inglese che sta per Sostanze PerFluoroAlchiliche) sono dei composti organici aventi struttura lineare variabile da 4 a 16 atomi di carbonio con la sostituzione di tutti gli atomi di idrogeno con atomi di fluoro; un tipico esempio è l’acido perfluoroottanoico (PFOA) avente formula CF3-(CF2)6-COOH . La loro struttura chimica conferisce ai PFAS, da un lato, una particolare resistenza termica nonché inerzia chimica, dall’altro una eccezionale idrofobicità. Queste sostanze di sintesi furono utilizzate fin dagli anni ’50 come impermeabilizzanti per tessuti, schiume antincendio, detersivi, tensioattivi e rivestimenti antiaderenti per utensili da cucina (“Teflon”). Oggi queste sostanze sono conosciute per la contaminazione ambientale che hanno prodotto negli anni proprio a causa della loro stabilità termica e chimica, che le rendono resistenti ai processi di degradazione esistenti in natura: fotolisi, idrolisi, degradazione biotica aerobica e anaerobica. Oltre alla tendenza ad accumularsi nell’ambiente, i PFAS persistono anche negli organismi viventi, compreso l’uomo, dove risultano essere pericolosi ad alte concentrazioni. Le attuali conoscenze concernenti gli effetti dei PFAS sulla salute derivano da studi condotti su animali e da indagini epidemiologiche su lavoratori dei siti produttivi di PFAS e popolazioni esposte. Pur essendo disponibili numerosi studi su diverse specie animali (in cui il fegato è il principale bersaglio della tossicità), l’associazione di tali conclusioni all’uomo è particolarmente difficile per le significative differenze nella permanenza di tali sostanze all’interno dell’organismo (molto inferiore nei roditori) e nel modo in cui queste provocano tossicità (alcuni meccanismi legati alla tossicità dei PFAS negli animali non sono rilevanti per la specie umana). Le principali ricerche sull’uomo sono state condotte negli Stati Uniti, nell’ambito del cosiddetto C8 Health Project, che ha riguardato circa 70.000 persone esposte a PFAS tramite l’acqua potabile in Ohio e in West Virginia a partire dagli anni ’50. Nel 2012 i ricercatori hanno concluso, sulla base dei propri risultati, di altri studi presenti nella letteratura scientifica e della revisione dei dati tossicologici, che esiste una probabile associazione tra esposizione a PFOA e ipercolesterolemia, ipertensione in gravidanza, malattie della tiroide e alterazioni degli ormoni tiroidei, colite ulcerosa, tumore del rene e tumore del testicolo. Il legame tra l’esposizione a PFOA e il tumore nell’uomo non è stato dimostrato, nonostante alcuni studi abbiano suggerito una probabile correlazione in soggetti esposti a dosi molto alte (es. i lavoratori dei siti produttivi) con tumori testicolari e renali. Tra le Agenzie Internazionali, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) nel 2016 ha classificato PFOA come “possibilmente associato” (gruppo 2b) ai tumori del rene e del testicolo. I PFAS, inoltre, sono riconosciuti a livello medico come interferenti endocrini, in grado quindi di alterare tutti i processi dell’organismo che coinvolgono gli ormoni, responsabili dello sviluppo, del comportamento, della fertilità e di altre funzioni cellulari essenziali. In Italia, a seguito di un’indagine avviata dal CNR_IRSA nel 2013, si è accertata la presenza di queste sostanze nelle acque potabili in diversi comuni nelle regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Toscana e Veneto; di conseguenza l’ISS nel 2014 ha stabilito il limite, nelle acque destinate al consumo umano, di 500 ng/l (0,5 ppb) per i PFAS (come somma totale di tutti i composti). Recentemente la Commissione UE per le Analisi Socio-Economiche ha approvato la proposta tedesca (già accettata dalla Commissione UE per la Valutazione dei Rischi) di adottare delle restrizioni sull’utilizzo dei PFAS, in modo da tutelare ulteriormente la salute umana e l’ambiente.
FONTI:
– https://echa.europa.eu/it/-/scientific-committees-support-further-restrictions-of-pfas
– https://it.wikipedia.org/wiki/PFAS
– Andrea Sergi “Ambiente e inquinamento” Youcanprint 2021